Singolare giudizio quello concluso con la Sentenza 26 novembre 2014 n. 25093 della Corte di Cassazione.
In realtà i principi che è possibile derivare dal processo sono già stati definiti dalla CTR della Toscana con una sentenza inappuntabile. Interessante è la vicenda e da segnalare la lettura della Corte.
La questione riguarda un accertamento effettuato in base all’art. 39 primo comma lett. d) del DPR 600 su un pubblico esercizio. La motivazione è univoca: visto che per fare un caffè occorrono 6 grammi di polvere i ricavi devono essere in linea con questa regola.
Prendiamo spunto dal recente manuale di A. Marcheselli (Contenzioso Tributario, Ed. IPSOA 2014 pag. 351) per ricordarci che le presunzioni semplici costituiscono piena prova solo in quanto gravi precise e concordanti, intendendo a) per gravità il grado di convincimento che la presunzione può produrre essendo a tal fine sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; b) per precisione, che il fatto noto, da cui muove il ragionamento presuntivo, non sia vago ma ben determinato nella sua realtà storica; c) per concordanza che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto (Cass. 14/05/2005 n. 10135, Cass. 06/08/2003 n. 11906).
Bene, secondo i Giudici di appello, la mera quantità del caffè di impiego unitario non costituisce una presunzione grave, precisa e concordante (e la conclusione non lascia dubbio alcuno!!).
La sentenza viene contestata dall’Agenzia, tra l’altro, ai sensi dell’ art.360, 1 comma, n.5 c.p.c., prospettando l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in ordine ai fatti controversi e decisivi dati, per un verso dalla ricostruzione dei ricavi di un ristorante basata sul consumo dei caffè serviti e, per altro verso, dall’esatta determinazione del quantitativo in grammi di ciascuna tazzina di caffè preparata dal ristorante.
Ma la Cassazione ritiene la censura inammissibile ed infondata. Letteralmente:
“E’ inammissibile nella parte in cui afferisce alla ricostruzione dei ricavi della Società (primo motivo e primo profilo del secondo motivo) perché non congruente con la decisione impugnata.
La sentenza, infatti, non concerne, come vorrebbe la ricorrente, la forza presuntiva del quantitativo di caffè consumato ai fini della ricostruzione in via induttiva del volume dei ricavi conseguiti ma, soltanto, l’individuazione del numero di caffè in base al quantitativo di polvere occorrente per la loro preparazione. Si legge in sentenza che “la materia del contendere, in buona sostanza, risiede nello stabilire quanti grammi di polvere di caffè occorrono per ottenere una tazza di caffè; valutazione questa che, logicamente, postula la forza presuntiva in questione.
La censura è, poi, infondata nella parte in cui (secondo profilo del II motivo) si appunta sull’esatta determinazione del quantitativo in grammi occorrente per la preparazione di ciascuna tazzina, in quanto pretende di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dal Giudice di appello”.