La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 132 depositata il 7 luglio 2015, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis comma 4 del DPR 600/73 prospettata dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 5 novembre 2013.
La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione – dell’art. 37-bis, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 nella parte in cui sanziona con la nullità l’avviso di accertamento che sia stato emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal ricevimento da parte del contribuente della richiesta di chiarimenti.
Ad avviso della rimettente, solo l’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, che ha natura speciale rispetto alla disciplina generale del divieto dell’abuso del diritto, prevede forme di contraddittorio preventivo con il contribuente da osservare a pena di nullità. Alla fattispecie in esso prevista sarebbe quindi riservato un trattamento irragionevolmente diverso rispetto a quello generale stabilito per le fattispecie antielusive non riconducibili alla norma denunciata, nonché a quello previsto da altre disposizioni che, come l’art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), stabiliscono l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria di negozi elusivi, senza prevedere una analoga sanzione.
I giudici della Consulta rigettano in sostanza la questione affermando in primo luogo che il principio generale del divieto dell’abuso del diritto, promanando dal diritto comunitario e dalla stessa Carta Costituzionale, esisteva già prima dell’entrata in vigore del DPR 600/73. Quindi se il legislatore ha inteso attribuire un termine per il contraddittorio nell’ambito della norma antielusiva che riguarda specificamente le imposte sui redditi tale norma ha carattere di specialità e non può essere censurata sotto il profilo dell’uguaglianza e della capacità contributiva.
Ma arriva poi il passaggio più interessante, laddove la Consulta sottolinea come l’ipotesi dalla quale muove l’eccezione di incostituzionalità è contraddetta dalla stessa giurisprudenza di legittimità – sia pure formatasi in epoca successiva all’ordinanza di rimessione – secondo la quale l’amministrazione finanziaria che intenda contestare fattispecie elusive, anche se non riconducibili alle ipotesi contemplate dall’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, è tenuta, a pena di nullità dell’atto impositivo, a richiedere chiarimenti al contribuente e a osservare il termine dilatorio di sessanta giorni, prima di emettere l’avviso di accertamento, il quale dovrà essere specificamente motivato anche con riguardo alle osservazioni, ai chiarimenti e alle giustificazioni, eventualmente forniti dal contribuente (Corte di cassazione, quinta sezione civile, sentenze 14 gennaio 2015, n. 406 e 5 dicembre 2014, n. 25759).
Questa conclusione si collega del resto, secondo la Corte, (cfr Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 29 luglio 2013, n. 18184, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 18 settembre 2014, n. 19667) ad un orientamento che, partendo dall’interpretazione dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000) arriva sostanzialmente ad affermare che nell’accertamento in generale non è impedito, con riguardo alle fattispecie non riconducibili all’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, che sia instaurato il previo contraddittorio fra l’amministrazione finanziaria e il contribuente, né si esclude che il vizio del contraddittorio conseguente alla violazione del termine produca la nullità dell’atto impositivo.
Ora, la formulazione delle conclusioni “a contrario” non è del tutto diretta, ma pare che, elidendo le negazioni, si possa concludere che la differenza tra il 37-bis e le altre norme sull’accertamento dal punto di vista dell’obbligo del contraddittorio non c’è perché il contraddittorio è sempre obbligatorio e l’atto emesso senza contraddittorio endoprocedimentale è nullo.
Questo principio pare passare, in attesa della imminente riforma dell’abuso e dell’elusione dove dovrebbe essere comunque normativamente previsto.
Non convince invece, e anzi pare dissonante rispetto alle elaborazioni si qui esposte, il passaggio in cui la Corte Costituzionale richiama l’art. 101 del codice di procedura civile, così come modificato dalla L. 69/2009, operante pure nel processo tributario, in virtù del quale è necessaria, a pena di nullità della sentenza, l’instaurazione del contraddittorio tra le parti del processo se emerge una questione rilevabile d’ufficio, anche tramite l’assegnazione di un termine per il deposito di memorie.
Il principio del contraddittorio endoprocedimentale è infatti di ambito amministrativo e non è la stessa cosa esercitare il diritto di difesa prima che l’atto sia emesso o esercitarlo in giudizio. La giurisprudenza di matrice comunitaria che è alla base del principio e delle sentenze di Cassazione richiamate dalla stessa Consulta, sul punto non è stata forse tenuta nel dovuto conto.